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Torna al ForumLeggende giapponesi 🎎🎍🎋.. una nuova passione!
Creata da Dolly8
il
207
3 anni
Condivido con voi una delle leggende giapponesi che di recente stanno appassionando mio figlio:
La storia racconta di Okina, un tagliatore di bambù, che una notte, lavorando, scorse una canna di bambù splendente; dopo averla tagliata, vi trovò all’interno una bambina molto piccola, grande «come un pollice». La portò a casa, dalla propria moglie, e non avendo figli i due decisero di adottarla.
Quando poi tornò al lavoro, Okina si accorse però che ogni volta che tagliava il bambù vi trovava dentro una piccola pepita d’oro, capendo che quella sorta di magia era in qualche modo causata dalla piccola bambina chiamata Kaguya (notte splendente).
Passarono gli anni e Kaguya crebbe accudita dai genitori amorevoli – e, grazie alle pepite, più che benestanti – e divenne una donna bellissima, sempre più ambita dagli uomini del paese nonostante i genitori avessero anche provato a tenerla il più possibile nascosta.
Si presentarono quindi cinque principi provenienti da diverse parti della terra, chiedendo la mano della ragazza; lei, però, non aveva nessuna intenzione di accettare e per questo chiese ad ognuno dei pretendenti, come pegno d’amore, una cosa difficilissima da ottenere.
Infatti al primo chiesa la sacra ciotola del Buddha, al secondo un ramo di un albero dal tronco d’oro e dalle foglie d’argento, al terzo la pelle di un topo di fuoco, al quarto un gioiello che si trovava sulla testa di un drago, al quinto una conchiglia nascosta nella pancia di una rondine.
Nessuno riuscì nell’impresa e perfino l’imperatore del Giappone, che si presentò per sposarla, fu rifiutato: Kaguya rivelò infatti di provenire dalla Luna e che presto sarebbe ritornata nel suo pianeta natale.
L’imperatore mandò molti soldati ad impedire che la sua amata partisse, ma gli esseri celestiali che vennero a prendere Kaguya, loro principessa, accecarono tutti e così la ragazza scomparve.
Lasciò una lunga lettera e una goccia dell’elisir della vita, ma l’imperatore portò entrambi i doni sul monte Fuji per bruciarli: così si spiegavano sia il fumo che usciva dal monte vulcanico, prodotto dall’elisir che bruciava, sia il suo nome (che si riteneva derivasse da fushi, immortalità).
La storia racconta di Okina, un tagliatore di bambù, che una notte, lavorando, scorse una canna di bambù splendente; dopo averla tagliata, vi trovò all’interno una bambina molto piccola, grande «come un pollice». La portò a casa, dalla propria moglie, e non avendo figli i due decisero di adottarla.
Quando poi tornò al lavoro, Okina si accorse però che ogni volta che tagliava il bambù vi trovava dentro una piccola pepita d’oro, capendo che quella sorta di magia era in qualche modo causata dalla piccola bambina chiamata Kaguya (notte splendente).
Passarono gli anni e Kaguya crebbe accudita dai genitori amorevoli – e, grazie alle pepite, più che benestanti – e divenne una donna bellissima, sempre più ambita dagli uomini del paese nonostante i genitori avessero anche provato a tenerla il più possibile nascosta.
Si presentarono quindi cinque principi provenienti da diverse parti della terra, chiedendo la mano della ragazza; lei, però, non aveva nessuna intenzione di accettare e per questo chiese ad ognuno dei pretendenti, come pegno d’amore, una cosa difficilissima da ottenere.
Infatti al primo chiesa la sacra ciotola del Buddha, al secondo un ramo di un albero dal tronco d’oro e dalle foglie d’argento, al terzo la pelle di un topo di fuoco, al quarto un gioiello che si trovava sulla testa di un drago, al quinto una conchiglia nascosta nella pancia di una rondine.
Nessuno riuscì nell’impresa e perfino l’imperatore del Giappone, che si presentò per sposarla, fu rifiutato: Kaguya rivelò infatti di provenire dalla Luna e che presto sarebbe ritornata nel suo pianeta natale.
L’imperatore mandò molti soldati ad impedire che la sua amata partisse, ma gli esseri celestiali che vennero a prendere Kaguya, loro principessa, accecarono tutti e così la ragazza scomparve.
Lasciò una lunga lettera e una goccia dell’elisir della vita, ma l’imperatore portò entrambi i doni sul monte Fuji per bruciarli: così si spiegavano sia il fumo che usciva dal monte vulcanico, prodotto dall’elisir che bruciava, sia il suo nome (che si riteneva derivasse da fushi, immortalità).
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