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Torna al Forum(RACCOLTA) UN DOLCE PER OGNISSANTI
Creata da pippa73
il
1513
2 anni
Nonostante si facciano grandi celebrazioni per Halloween la nostra tradizione ci chiede di rispettare e di celebrare la Festa di Ognissanti e la Festa dei morti.
In questo periodo in tutta Italia si risveglia la tradizione di dolci speziati ed aromatici.
In questo post vorrei creare una raccolta di ricette e delle numerose tradizioni delle nostre regioni......
allora "Paesi che vai .......tradizioni che trovi......"
In questo periodo in tutta Italia si risveglia la tradizione di dolci speziati ed aromatici.
In questo post vorrei creare una raccolta di ricette e delle numerose tradizioni delle nostre regioni......
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Risposte (213)
Di solito noi prepariamo quello che più ci piace e le castagne non devono mancare, poi per il resto....vedo d' informarmi così non mi sento imbranata🤷🏼♀️🤷🏼♀️🤦🏼♀️
Buona giornata
Questa è la mia ricetta
https://www.dolcidee.it/ricette/dolcine/pane-dei-morti-3
Anche qui ci sono versioni differenti...
Un forte abbraccio a te cara Pippa ed alla cara Flavia 😘
Un abbraccio grande a te, alla nostra Pippa e a tutte le amiche dolcine😊
con tantissimo piacere ho letto il tuo commento al mio post, e gustato con gli occhi questi tuoi dolcetti......
andrò a cercare la ricetta.......buon pomeriggio!!
ah ah ah ah ti interrogherò quando sarai più preparata!!
"Nel mantovano c'e una tradizione antichissima che si chiama Festa delle Lumere.
Aspettando la notte di Ognissanti, nelle campagne attorno a Mantova si usava realizzare maschere per esorcizzare l’idea della morte nei giorni in cui il mondo dei vivi entra in contatto con quello dei trapassati.
E cosa potevano utilizzare per intagliare tali figure se non le rinomate zucche mantovane?
Già, perché ben prima che le suggestioni di Halloween facessero capolino anche in Italia, la zucca era già materia prima per creare volti spaventosi da fare brillare in questa notte magica.
Queste lanterne, dette appunto “lumere”, erano pensate per illuminare la strada alle anime di passaggio. Per questo erano poste sui davanzali delle finestre, lungo i viali dei cimiteri, oppure utilizzate per fare scherzi e spaventare i paurosi.
Si tratta di usanze legate a un passato non così lontano che fanno parte della cultura e del folclore locale da secoli.
Una giornata per festeggiare e, come di consueto, dare il benvenuto agli spiriti buoni che tornano a visitare i vivi.
Ma anche un’occasione per restituire a questa ricorrenza il suo vero significato di festa popolare, con largo spazio dedicato ai più piccoli che potranno cimentarsi nella creazione della loro zucca e conoscere le tradizioni dei nonni."
Non ho studiato 🤦🏼♀️🤦🏼♀️😂😂😂😂 il due me lo merito 😂😂😂😂
"Al nord Italia si prepara il “Pane dei Morti” in Lombardia, una sorta di panetti allungati fatti con briciolame di biscotti, frutta secca e vino bianco; per dare la forma e soprattutto il colore delle ossa vengono cosparsi con zucchero a velo. E’ un dolce milanese presente sulle tavole già del 1400 ma in realtà faceva parte di un rito dell’offerta in tempi molto antichi, si pensi che i Greci, offrivano un pane dei morti a Demetra, la Dea delle messi, per assicurarsi un buon raccolto.
Sempre nel milanese si gusta anche il “Pan dei Mej”, chiamato anche pammeino, panigada, pan dei poveri o pan melghino e si tratta di una focaccia aromatizzata ai fiori di sambuco."
In Sicilia la tradizione legata al 1 e al 2 novembre è molto sentita, ed in passato erano proprio questi i giorni in cui i bambini ricevevano i doni, che non portava Babbo Natale bensì proprio i defunti: la mattina del 2 novembre i bimbi partivano alla ricerca dei giocattoli nascosti sotto i letti o negli angoli di casa, e in molte case quest’usanza è tutt’ora seguita. Ecco una canzoncina popolare palermitana, che cantavano i bambini, che inizia con, guarda cosa mi hanno portato i morti…
“Talè chi mi misiru i Morti,
‘u pupu cu l’anchi torti,
‘a atta ch’abballava,
‘u surci chi sunava.
Passa la zita cu ‘a vesta di sita,
passa ‘u baruni cu ‘i cavusi a pinnuluni”
Sono anche molti i paesi in cui si usa preparare doni gastronomici per i morti, che poi vengono dispensati alle famiglie più povere; in altri ancora, come a Roma, si usava portare il pranzo al cimitero e consumarlo su una tovaglia stesa accanto alla tomba dei cari.
"In molte regioni, inoltre, la tradizione vuole che nella notte tra il primo e il 2 novembre si preparino acqua fresca e un po’ di pane per i cari che non ci sono più e abbiano bisogno di ristorarsi.
In Val D’Aosta addirittura si lasciava un’intera tavola imbandita mentre si andava a fare visita al cimitero."
"in alcune parti d'Italia esista, poi, la tradizione della cena dei morti: la sera del 1° Novembre (festa di tutti i santi), dopo che la famiglia ha cenato, si apparecchia di nuovo la tavola con alimenti non facilmente deperibili e la si lascia apparecchiata per tutta la notte.
Si crede, infatti, che nel corso della notte le anime di quanti ci hanno preceduto si rechino presso le abitazioni in cui c'è la tavola imbandita e benedicano tanto le vivande quanto chi vive in casa. Il giorno seguente, ovvero il 2 novembre, i cibi benedetti dai morti si donano a quanti sono più bisognosi."
voglio essere buona niente due......aspetterò ancora, ma sbrigati tra poco chiudo con le interrogazioni....devo proseguire con il programma (gli insegnanti dicono sempre così !!)
:-)
Buon pomeriggio cara!
In famiglia erano molto apprezzati e così mi sono data da fare sperimentando diverse ricette, fino a che non ho trovato quella che più mi soddisfa. Ed ora, soprattutto in questo periodo, produco questi deliziosi biscotti che continuano ad essere molto apprezzati.
Peccato non poterveli offrire 😊
Eccomi vediamo ho studiato bene?
Così sembra, che da noi pugliesi si usa onore le anime dei nostri cari apparecchiando tavole tra la notte del 31 e l' 1 destinate esclusivamente al passaggio degli spiriti che, secondo la credenza popolare, rimanevano a dimorare nelle case fino a Natale se non fino all'Epifania.
Nell’antica Grecia, durante le Antesterie, feste che duravano 3 giorni a fine inverno in onore di Dioniso, si riteneva che i defunti tornassero Anche Verga, in un suo racconto, cita l'usanza dei defunti, di tornare, nella notte della loro festa, a visitare i loro cari portando frutta e dolci che simboleggiano i doni che i defunti portano dal cielo e contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio.
Il tema della morte ci riporta quindi ad un culto antichissimo in cui, una volta all’anno, si apre la frontiera tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Il culto dei morti e la festa dei defunti sono infatti un retaggio molto antico, comune anche alle nostre tradizioni cattoliche. Basta rifarsi a qualsiasi calendario rituale contadino per capire l'importanza di due feste basilari per l'occidente cristiano: Ognissanti e la commemorazione dei defunti. Ambedue infatti cadono nel cuore dell'autunno, periodo in cui termina la stagione agraria e ne inizia un'altra. Il grano è stato appena seminato, è “sceso negli inferi”, nel cuore della terra. E comincia il suo lento cammino verso la futura germinazione.
Originariamente queste date combaciavano con il capodanno celtico, preceduto dalla notte conosciuta come notte delle calende d'inverno, durante la quale i morti entravano in comunione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico.
Secondo le credenza popolare, nella notte tra l’1 e il 2 novembre le anime dei defunti tornano dall’aldilà, ed il viaggio che li separa dal mondo dei vivi, è lungo e faticoso, ed è per questo che vengono imbandite tavole a cui i propri defunti trovano ristoro come usavano fare gli antichi celti.
Nella notte scura, a cavallo tra il giorno di Ognissanti e quello dei Morti, le anime dei defunti affrontano un lungo viaggio verso la terra dei vivi, guidati da misteriose lanterne. I lumi accesi nelle zucche dalle sembianze umane, spaventose e beffarde, aiutano le anime perse a raggiungere la via di casa.
E' la notte dei misteri, ma non siamo in un quartiere americano, come qualcuno potrebbe immaginare, bensì ad Orsara, nel nord della Puglia, dove la commemorazione dei defunti viene celebrata secondo un'antica tradizione.
I dolci sono probabilmente il cibo rituale più usato in tutte le tradizioni regionali per commemorare il Giorno dei Morti e ogni regione ha i suoi dolci tipici.
In Puglia la tradizione vuole che in occasione del 2 novembre si consumi la Colva, uno dei dolci più significativi ed emblematici. A base al grano, simbolo stesso della vita e della fertilità, questo dolce affonda le sue radici nelle festività dei morti dell’antica Roma legate alla figura di Proserpina figlia di Cerere, dea della terra.
Un dolce ricco e povero allo stesso tempo. ricco di sapori che gli vengono da ingredienti «poveri» del mondo contadino quali grano, noci, mandorle, uva, melograno e cannella amalgamati dal vin cotto (di uva o di fichi).
Nel Salento questo dolce dei morti è detto “colva” o “coliba”, termine mutuato dal bizantino “kolba” che, a sua volta, deriva dal greco “koliva”, il dolce protagonista del “mnemòsino”, il banchetto funebre della ritualità greco-ortodossa. Vino e grano, quali emblemi di vita come auspicio di rinascita per il defunto. E’ la vittoria della vita dopo la morte. Il grano è “mielon andron”, “midollo dell’uomo”, per dirla con Omero. Mentre, nella tradizione cristiana è il cibo eucaristico per antonomasia, corpo di Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo. Il vino è il sangue di Nostro Signore che lava i peccati del mondo. Grandioso mito cosmogonico, di fondazione di una umanità redenta. Il melograno, pianta nata dal sangue di un essere mitico, è simbolo di fecondità. I suoi chicchi rosso sangue simboleggiano l’energia vitale, il principio rigenerante insito nella natura. In Grecia il suo frutto è simbolo d’amore, tanto che viene donato dallo sposo alla sposa nel giorno delle nozze. Direttamente connesso alla Grande Madre mediterranea è l’albero del noce, il quale viene ad assumere, però, la duplice valenza di vita e di morte. La cannella è una spezia estratta dal cinnamomo, pianta divina consacrata al sole, come ci ricorda Erodoto, simbolo di vita oltre la morte.
Dalle offerte agli dei, fino alle tavole apparecchiate, il cibo sembra essere dunque da sempre, il legame tra il mondo dei viventi e quello degli spiriti.
......questi dolcetti di cui parli li hai mai preparati? Hai una ricetta da condividere?
"Le Rame di Napoli sono dolci tipici catanesi che vengono consumati in occasione della festività di Tutti i Santi (a festa de motti). La nascita del termine “Rame di Napoli” sembra risalire al dicembre del 1816, nel periodo del Regno delle due Sicilie .
I borbonici in seguito all’annessione della Sicilia al Regno di Napoli, coniarono una nuova moneta in lega di rame che sostituiva quelle ben più preziose in oro e argento.
I catanesi, in onore del nuovo regno, crearono a loro volta la versione dolciaria della nuova moneta.
L’analogia è forte anche nel composto del dolce che nasce come dolce povero, fatto con gli scarti e i ritagli di altri dolci, proprio come la nuova moneta che nasceva da leghe più povere.
La leggenda dice anche che il pasticciere inventore della ricetta si chiamasse Napoli.
Morbide, speziate e con una golosa ricopertura di cioccolato, le rame di Napoli rappresentano una vera tentazione.
I NZUDDI sono biscotti siciliani mandorlati aromatizzati all’arancia, alla cannella, vanillina, miele e chiodi di garofano, dalla consistenza un po’ gommosa. Ideati e preparati, secondo la tradizione, dalle suore vincenziane di Catania, città dove si preparano in occasione della cosiddetta Festa dei Morti del 2 novembre.
i ‘nzuddi sono diffusi anche a Messina, dove è usanza consumarli per la festa patronale della Madonna della Lettera.
Il loro nome deriva direttamente dall’abbreviazione del vezzeggiativo dialettale del nome Vincenzo.(Nduzzi e' il diminituivo di Vincenzo)
Nel VENETO c’è la tradizione che, nel giorno dedicato ai morti, gli amanti offrono alle promesse spose un sacchetto con fave in pasta frolla colorate, i cosiddetti "OSSI DA MORTI", per scongiurare la tristezza legata a questa ricorrenza.
qui troviamo "I PIPARELLI" o "PIPAREDDI" sono biscotti speziati simili ai quaresimali per forma e consistenza, croccanti a base di mandorle, da inzuppare nel liquore.
Tipici di MESSINA, il loro nome deriverebbe dall’uso del pepe o dalle stufe a legna sbuffanti come pipe in cui anticamente venivano cotti a soli 50°C anche per due giorni consecutivi.
E un po’ ovunque spuntano nelle cucine i “PUPI” di zucchero a evocare gli avi della famiglia, o i panini dolci a forma di mano, e la “Frutta di Martorana”, che ricrea la forma e il colore della frutta, ricca di pasta di mandorla e zucchero.
Io come contributo... lo sto leggendo con attenzione😅... Non conosco usanze particolari della mia zona x questa ricorrenza...
......buona lettura allora! ne ho ancora da scrivere ;-)
Nella tradizione TOSCANA si trova l’immancabile “CASTAGNACCIO" dolce di stagione autunnale, viene cucinato anche in alcune città dell’Emilia Romagna. A base di farina di castagne, si aggiungono anche pinoli, uvetta e rosmarino.
Altra tipica e famosa ricetta toscana (prevalentemente a Siena e provincia e in alcune zone della Maremma) quella del “PAN co’ SANTI" un biscotto informe,costituito da farina, noci, miele, strutto, uvetta e pepe nero che si amalgamano in una grossa forma di pane, che i toscani continuano a gustare fino alla fine dell’Avvento. Il nome si rifà ai suoi ingredienti principali, i “santi”, appunto, sono noci, uvetta e pepe in abbondanza.
Le "OSSA DEI MORTI" sono presenti anche a Montalcino qui sono dei biscotti rotondi di farina, zucchero, chiara d’uovo e mandorle. Gli ingredienti sono inequivocabili, i biscotti devono infatti risultare di colore bianco (per ricordare il colore delle ossa).
Bèn d’ì morti è questa la tradizione che caratterizza l’area compresa tra Massa e Carrara dove i defunti lasciavano ai parenti sopravvissuti il compito di distribuire cibo e vino ai bisognosi, mentre i bambini portavano al collo una collana di piccole mele essiccate e castagne bollite.
Al Monte Argentario si ricamavano scarpette di lana e venivano imbastite tasche di stoffa, le prime erano per le tombe dei bambini defunti, le seconde venivano applicate sui vestiti degli orfanelli, per permettere loro di ricevere offerte di cibo e denaro.
Non mancavano in tutta la regione piatti creati per essere lasciati all’esterno delle abitazioni, ad uso e consumo dei passanti.
La FRUTTA MARTORANA deliziosa a guardarsi e sublime in bocca, è un dolce realizzato con la pasta di mandorle, o “pasta reale”, deliziosa invenzione araba, degna, per la sua dolcezza e raffinatezza, dei più nobili palati. Essa viene preparata durante le festività di Ognissanti e la Commemorazione dei Morti.
Sulla creazione di questi dolci esistono diverse teorie e leggende.
Essi furono preparati di certo per la prima volta dalle Monache del convento di Santa Maria dell’Ammiraglio, a Palermo.
Il convento di Santa Maria dell’Ammiraglio a PALERMO fu realizzato per le nobildonne dell’ordine di San Benedetto e voluta dalla nobildonna Eloisa Martorana( della quale sia l'edificio che il dolce conservano ancora il nome)
Si narra che all’interno del monastero le suore avessero creato uno dei giardini più belli della città e un’orto con buonissimi ortaggi.
Esse erano talmente orgogliose della bellezza e abbondanze dei frutti di tale giardino!
Il Vescovo, incuriosito, decise di andarlo a visitare approfittando del suo status.
La visita, però, fu in pieno inverno, quando gli alberi erano spogli e l’orto non dava molti ortaggi.
Le monache allora decisero di creare dei frutti colorati con la pasta di mandorla per addobbare gli alberi spogli, e creare degli ortaggi per abbellire l’orto.
In questo modo è nata la frutta martorana con coloratissimi mandarini, arance, melograni, limoni, zucche, carciofi e chi più ne ha più ne metta…
Le monachelle a quel punto iniziarono a far "fruttare" la loro idea… Visto il successo iniziarono a preparare la frutta martorana per le famiglie ricche. Un servo, mandato a ritirare il pacco di dolciumi, metteva una moneta nella ruota e in cambio riceveva un bel vassoio di frutta… dolce!
Durante questo periodo le pasticcerie siciliane si riempiono di colori, colori su colori.
Arrivando a NAPOLI in questi giorni non può mancare l’assaggio de “O’Morticiello”, un torrone di cioccolato dal sarcastico nome perchè somigliante ad una cassa da morto, con tre varianti: al caffè, al gianduia o alla crema di nocciole.
Questo è il link della ricetta che ho pubblicato ;)
https://www.dolcidee.it/ricette/dolcine/papassini-sardi-pabassinus
andiamo a conoscere "LE FANFULICCHIE"........
Anche se sono dei dolci tipici della tradizione, molti salentini non conoscono le Fanfullicchie, che sono finite nell'oblio.
Ma da un po’ di tempo a questa parte, le bancarelle di dolciumi leccesi stanno riproponendo le stecchette zuccherate, tanto care ai nonni.
E oggi rappresenta un obbligo per tutti coloro che vogliono celebrare al meglio la ricorrenza di Ognissanti.
In passato, le caramelle zuccherine più piccole erano chiamate “bomboloni“, mentre quelle più lunghe, appunto, " fanfullicchie".
Esse sono le tipiche caramelle zuccherate attorcigliate su sé stesse, che si offrivano ai bambini poveri e agli orfani nel giorno di Ognissanti e durante l’intera settimana di commemorazione dei defunti.
La tradizione racconta così:
“Fanfullicchie, fanfullicchie!”. Era questo il ‘dolce’ suono che riecheggiava all’uscita del cimitero nel giorno della commemorazione dei defunti. Perché questi riccioli di zucchero caramellato, si potevano trovare solo in questo periodo dell'anno.
Un tempo queste caramelle particolari si vendevano di un unico gusto e colore, il verde menta (essenza che veniva usata per realizzarle).
Oggi se ne trovano in commercio di multicolori e multi gusti.
Per preparare queste delizie a casa bastano tre semplicissimi ingredienti: acqua, zucchero e i coloranti alimentari che si possono trovare ovunque.
Per quanto riguarda la loro ‘origine’ si dice che siano nate in occasione dell’investitura del vescovo Luigi Pappacoda avvenuta il 4 dicembre 1639 in piazza Duomo. Per celebrare l’importante evento fu istituita la “Fera te lu panieri”, nella quale si vendevano questi dolci di zucchero insieme a tipici giocattoli in legno come le girandole, le tozzole o i tamburelli e altri prodotti locali.
Secondo altri le fanfullcchie sono una creazione di Franco dei gelati. Fu lui a inventare questi riccioli di zucchero per tenere buoni i ‘bambini’ durante la visita dei genitori ai cari che non ci sono più.
ricco di usanze e tradizioni della nostra bellissima Italia.Nella mia zona non ci sono ricette particolari.....ma ti seguo volentieri 🤗
"Inizialmente tipici delle cucine romane, poi spopolati in tutto il centro Italia e oltre, LE FAVE DEI MORTI in origine venivano preparate con le fave vere, considerate per secoli sacre ai defunti per via delle lunghe radici che affossano nel terreno come tramite tra terra e mondo sotterraneo.
In giro per la regione sono tante le loro varianti, ma resta sempre un unico punto fermo come base: le mandorle, che nel tempo hanno sostituito le fave per gusto e consistenza. Si tratta di biscotti all’aspetto simili agli amaretti, con al centro una conca che li fa assomigliare alle vere fave, da qui il loro nome e il loro legame alla festa di Ognissanti e al ricordo dei defunti!
Già gli antichi greci usavano distribuire le fave dei morti durante i funerali, forse in segno di buon auspicio. Per i romani, invece, le fave rappresentavano le anime dei cari estinti, che venivano in visita nel mondo dei vivi nella notte di Ognissanti. A questa leggenda è legata la preparazione delle fave dei morti nella tradizione contadina. Spesso si è raccontato che questi biscotti servivano a dare il benvenuto ai nostri cari, quasi come a rifocillarli dopo il lungo cammino fino a noi."
- in VALLE D'AOSTA dove era usanza mettere sui davanzali delle finestre del cibo, affinchè le anime dei morti che vi transitavano potessero, per quel giorno, ritornare a gustare i piatti mangiati da vivi. Se non trovavano nulla potevano sollevare un vento molto forte che metteva l'abitazione in pericolo.
- in PIEMONTE era abitudine mettere un posto in più a tavola qualora un defunto decidesse di farvi visita. Era anche usanza che dopo cena le famiglie preparavano qualcosa per i morti e poi uscivano per recarsi al cimitero in modo che questi potevano banchettare in tutta tranquillità. Quando decidevano di rientrare facevano suonare le campane affinchè i defunti potessero lasciare l'abitazione.
- in LOMBARDIA vi sono diverse usanze, una era quella di mettere sul davanzale una zucca svuotata e riempita di vino e sul tavolo della cucina del cibo, in modo che i defunti potessero sfamarsi e dissetarsi. Altra usanza era quella di lasciare, oltre alla zucca piena di vino, un secchio di acqua fresca e il fuoco acceso nel camino e nella stufa, affinchè le anime potessero riscaldarsi.
- in TRENTINO ALTO ADIGE vi è l'usanza della tavola imbandita e il focolare acceso, solo che loro facevano suonare le campane proprio per avvertire le anime dei defunti che potevano accomodarsi.
- in FRIULI VENEZIA GIULIA le usanze sono simili per quanto attiene la tavola, in più si intagliavano le zucche a forma di teschio. Inoltre erano convinti che i morti facessero delle processioni notturne verso alcuni santuari del luogo.
- in EMILIA ROMAGNA oltre a preparare del cibo per i morti ne davano anche a qualche povero che bussava a quella porta, e che doveva condividerlo con le anime dei defunti.
- in LIGURIA si preparavano per i morti, delle fave secche e delle castagne bollite. Era poi doveroso recitare le preghiere per quelle anime e poi, i nonni erano soliti raccontare storie e leggende paurose.
- l'UMBRIA ricalca la vicina TOSCANA (dove si preparano le OSSA DEI MORTI) preparando dei dolci a forma di fave chiamati "stinchetti dei morti".
- in ABRUZZO, oltre alla tavola apparecchiata, si mettevano alla finestra dei lumini accessi tanti quanti erano le anime dei propri cari.
- il MOLISE si arricchisce di fantasia preparando una cena particolare cui partecipano i parenti, poi sul davanzale viene lasciato un piatto della pietanza per i parenti defunti; viene messa una zucca scavata con all'interno un lumino acceso; con l'espressione sorridente, piangente, sghignazzante.
- nel LAZIO, a Roma, si andava a consumare la cena sulla tomba del defunto, questo per tenergli compagnia.
- molto ricca di tradizioni e' anche la CAMPANIA e la SICILIA
- anche la PUGLIA ha varie usanze, oltre quella di preparare dei biscotti tipici chiamati " grano dei morti".
- in CALABRIA oltre alla cena, sul tavolo si lasciava anche un mazzo di carte, caso mai i defunti volessero farsi una partita.
- in SARDEGNA si racconta dei "Sa Rèula", una processione silenziosa di anime dei morti; così come il " ballo dei morti", che questi facevano soprattutto nei pressi di qualche chiesetta di campagna.
In UMBRIA la tradizione gastronomica prevede che si producano dei tipici dolcetti devozionali a forma di fave, detti “Stinchetti dei Morti”, che si consumano da antichissimo tempo nella ricorrenza dei defunti quasi a voler mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezze dei cari che non ci sono più.
Sempre in questa regione, poi, si organizza ancora oggi la Fiera dei morti, un rituale suggestivo dedicato ai vari cicli dell’esistenza.
In ABRUZZO oltre all’usanza di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care, e i bimbi si mandano a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti.
Se per i bambini il 2 Novembre è un giorno speciale perché ricevono dei giochi in regalo, per gli adulti questa giornata è speciale perché le tavole vengono arricchite con i classici dolci dei morti! Tra i tanti ricordiamo le “rame di Napoli” che sono dolci molto soffici ricoperti da glassa di cioccolato e spesso ripiene con crema di nocciola o di pistacchio o marmellata; le “ossa dei morti”, biscotti croccanti con sopra un guscio bianco che richiamano le ossa; le “piparelle” , biscotti aromatici con mandorle, miele e spezie; "I Nzuddi" ricetta tradizionale siciliana. Dolci alle mandorle profumatissimi e tipici della tradizione novembrina siciliana, una bontà da provare......io quest'anno ho preparato le rame di napoli con crema di pistacchio spero che vi piacciano , vi lascio il link https://www.dolcidee.it/ricette/dolcine/rame-di-napoli-con-crema-di-pistacchio
I TETU' o TEIO o BISCOTTI CATALANI sono biscotti siciliani un po’ croccanti all’esterno e morbidi e porosi all’interno il cui nome in dialetto siciliano si può adattare nell’italiano “uno a te e uno a me”, perché uno tira l’altro.
In genere, i tetù sono rivestiti con glassa di zucchero e cacao, mentre i teio sono ricoperti di glassa di zucchero semplice.
Un tempo era usanza consumare i tetù e teio in occasione della Festa dei Morti del 2 novembre, ma oggi si trovano tranquillamente tutto l’anno in ogni forno e pasticceria di Sicilia.
Tuttavia non aspettatevi di trovare dei biscotti dal sapore pressoché identico sempre e ovunque. Infatti, oltre a farina, mandorle macinate e strutto, la ricetta dei tetù e teio comprende una quantità cospicua e casuale di scarti e avanzi di pasticceria, ovvero rimasugli di pan di Spagna, cialde, pasticcini, bignè farciti, torte, creme, marmellate, si compensa il restante ammanco di peso aumentando le dosi degli altri ingredienti, perché considerati i biscotti dei poveri.
Ogni sfornata di questi biscotti e' unica per note di sapore e consistenza, purché si usino tantissime spezie e aromi ( vaniglia, cannella, chiodi di garofano, cardamomo, ecc )
le notizie da te riportate molto interessanti le avevo già scritte anch'io....se prepari altri dolcetti tipici siciliani ritorna pure...buona giornata
"LA PIADA DEI MORTI è un dolce della tradizione romagnola, tipico del periodo autunnale; una ricetta antica che si realizza per la Commemorazione dei defunti. Un dolce semplice , profumato e golosissimo, adatto ad essere gustato dopo il pasto con un buon bicchiere di vino lambrusco, per i più piccoli è perfetto anche per iniziare la giornata o per rendere speciale la merenda.
La preparazione prevede tre fasi: un primo impasto per ottenere un composto elastico, un secondo impasto a base di mosto d’uva, uova e zucchero, e infine una finitura fatta di mandorle, noci e pinoli."
se realizzi altri dolci per questa festività torna ad inserire il link della tua ricetta e foto in questa raccolta......buona serata
TRENTINO ALTO ADIGE
in questa regione non è raro trovare sulle tavole imbandite per i defunti in bella vista i “CAVALLI DEI MORTI".
Esse sono delle pagnotte dolci di grandi dimensioni a forma di cavallo.
Il riferimento ai cavalli sembra risalire alla antica mitologia greca e al culto della dea che accompagnava i morti nell’oltretomba, Epona, protettrice appunto dei cavalli.
I Biscotti Regina, chiamati anche REGINELLE, sono una delizia, davvero, non hanno nulla di regale, sono fatti con ingredienti molto poveri!
È una classica ricetta siciliana e li si può trovare in tutta la regione, con piccole differenze tra una città e l’altra.
"Viscotta ‘nciminate" o "viscotta ca giuggiulena (cimino o giuggiulena = semi di sesamo) sono alcuni dei nomi con i quali chiamare questi biscotti siciliani.
La caratteristica principale è la copertura di semi di sesamo che, tostandosi, danno un gusto caratteristico a questi biscotti. Vanno bene a colazione, con una tazza di tè, a merenda o gustando un buon bicchiere di vino Marsala.
Il pregio dei Biscotti Regina è anche la giusta dolcezza. Non sono stucchevoli e vengono arricchiti dalla croccantezza dei semi di sesamo.
In questa regione la ricorrenza è stata festeggiata sin dai tempi più remoti; infatti nel libro “Il ponte di San Giacomo“, si descrive un particolare rito in uso dai contadini calabresi emigrati in America: svuotare una zucca e mettere dentro una candela aspettando così la vigilia di Ognissanti.
A SERRA SAN BRUNO, nel vibonese, c’è l’usanza del “Coccalu di muortu“: i ragazzini intagliano e modellano la zucca riproducendo un teschio (che in dialetto serrese si dice proprio “coccalu di muortu) per poi girare nel paese chiedendo "Mi lu pagati lu coccalu?” (tradotto letteralmente “Me lo pagate il teschio?”).
Alcune leggende narrano che nelle comunità dell’ENTROTERRA CALABRESE si commemoravano i morti organizzando dei veri cortei verso i cimiteri, per poi ricevere benedizioni e banchettare nel cimitero stesso, per permettere di contattare i propri defunti. Una cosa che tuttora è in uso nelle comunità Arbëreshë.
In diversi paesi dell’ASPROMONTE, in autunno i morti tornano addirittura per un mese intero. Così le famiglie mettono ogni sera sul tavolo un piatto di cibo e vino, e non mancano le carte da gioco per far ricordare ai defunti i divertimenti della vita.
A PAOLA, nella ricorrenza dei defunti si usa distribuire fichi secchi ai bisognosi, mentre In provincia di CATANZARO, sempre per la ricorrenza del 2 Novembre, si preparano particolari focacce da donare ai poveri, le “pitte colluri“.
Alcune famiglie originarie della provincia di COSENZA usano mandare ai loro morti il loro cibo preferito, cucinato di primo mattino, tramite il primo povero che passa davanti alla loro casa.
Nella gastronomia tradizionale, il piatto rituale del 2 Novembre è la “Lagana e ciciari” (fettuccine con i ceci), in usanza a SAN LUCIDO. Si dice che durante il giorno si devono mangiare i ceci, e il pomeriggio si va a seminare un pò di grano per garantire la fertilità.
Sempre in Calabria, la notte della vigilia del 2 Novembre, è usanza accendere una “lampa” o una candela, da tenere sul davanzale della finestra, in modo da indicare ai defunti la strada del ritorno. La mattina bisogna alzarsi presto, perchè si dice che i morti devono andare a riposare, perciò bisogna liberare il letto.
In alcune zone, vicino a LAUREANA di Borrello, le donne usavano recitare, al cimitero, uno strano rosario pieno di fede e devozione: “Animi ‘mbiati / chi o Prigatoriu stati / Quandu jati o Redenturi / ‘nci cuntati peni e duluri / Grazi pe’ nui cercati / e pe’ vui requi e paci / Pregati ‘nzini fhini / Animi, Sacerdoti e Cappuccini / Beneditti morti tutti / Animi santi e corpi rutti / Dov’eravu no’ nci siti / Duvi siti no’ nci simu / Aundi siti nui venimu / Nommu scura stà jornata / pemmu sugnu cunsumata”.
andiamo nel piccolo MOLISE
A CAROVILLI, secondo tradizione, ogni famiglia organizzava una cena particolare, chiamanta "r cummit", da condividere con amici e parenti; il piatto principale che veniva servito erano le "sagne e jierv", tagliatelle/lasagne bianche condite con la verza e pancetta.
Al termine della cena, che doveva essere consumata in compagnia, alcune porzioni della stessa venivano lasciate fuori da porte e sui davanzali delle finestre, per i defunti che sarebbero venuti in visita a gustarlo; inoltre si lasciava anche una zucca intagliata contenente un lumino.
L'usanza di intagliare la zucca è dunque d'uso anche in Molise: si da alla zucca la forma di un volto umano, si mette una candela all'interno creando così la "mort cazzuta" (il termine cazzuta deriva dalla parola di lingua punico- fenica caz, che significa tagliare)
eccoci in FRIULI VENEZIA GIULIA ad assaggiare....
Le FAVETTE TRIESTINE del giorno dei morti, sono diverse da quelle si trovano in tutta italia, sono tipiche friulane e di qualche zona del Veneto.
Esse sono di tre colori: rosa (alchermes), bianche/beige (rum/rosolio), e marroni (cacao).
Le Favette Triestine sono a base di mandorla, della dimensione di una fava o di una ciliegia, facili da preparare.
Di esse Pellegrino Artusi scriveva nel 1891 ne “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”: “Queste pastine sogliono farsi per la commemorazione dei morti e tengono luogo della fava baggiana, mossia d’orto.....Tale usanza deve avere la sua origine nell’antichità più remota poiché la fava si offriva alle Parche, a Plutone e a Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstizione nelle quali si usava”.
Sembra infatti che già nell’antica Grecia questi dolcetti colorati venissero distribuiti in occasione dei funerali. E poi hanno continuato ad accompagnare questa festa religiosa. Il bianco/crema rappresenta la nascita, il rosa pastello la vita e il marrone la morte, infatti la fava è sempre stata oggetto di superstizione.
questa volta in SARDEGNA
Nella notte tra il primo e il due novembre, in quasi tutti i paesi dell’isola, sopravvive ancora l’usanza di apparecchiare la tavola e preparare una ricca cena per SAS ANIMAS a base di gnocchetti conditi con sugo al pomodoro e pecorino. Si pensa, infatti, che i morti quella notte facciano ritorno nelle proprie case a banchettare e proprio per questo bisogna fargli trovare qualcosa di pronto da mangiare.
Una curiosità: la regola vuole che sulla tavola imbandita non debbano esserci coltelli, mai lasciarli accanto ai piatti, poiché le anime potrebbero farne un uso sbagliato.
In diversi paesi della SARDEGNA si usa anche preparare dei dolci speciali per i morti, come i PABASSINOS o SOS OSSOS DE MORTU.
In Sardegna i bambini girano per i paesi bussando alle porte e chiedendo “is animasa” con un sacco o una federa, ovvero una piccola offerta per il bene delle anime dei morti.
Per l’occasione le famiglie preparano apposta dei dolci tipici di saba (Pabassinas) o pane nero, come lo chiamano alcuni tra i mannos, per offrirli ai bambini che bussano alle porte chiedendo: “Si onada a is animasa?”. Le donne fanno cadere nel sacco pane casereccio, noci, frutta secca o di stagione, o dolci, le persone che mangeranno quei doni faranno sì che questi giungano al morto, il quale mangerà tramite loro.
Da zona a zona cambia il nome della festività e delle tradizioni, ma non la valenza che le si attribuisce: "panixeddas", "Su bene e is animas" , "id animeddas", "su prugradoriu" o su mortu su mortu in Barbagia.
In alcune zone della Sardegna vengono esposte delle zucche arancioni, per lo più in Barbagia dove le usanze restano per lo più fedeli a quelle che furono nei tempi andati, facendo tornare alla mente l’antico rito praticato sia in Sardegna che in Corsica: cioè quello di prendere i crani dal cimitero per far piovere, il cranio in seguito venne sostituito da una zucca che ne richiama le fattezze.
Ecco come si esprime un vecchio di Ghilarza sul rito di Maimone, il dio pagano della pioggia: “Il simulacro più antico, la zucca, veniva portato in giro 70-75 anni fa, senza il supporto di lettighe o di altri elementi”. Zucca che tutt’oggi viene utilizzata per la festa dei morti.
Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.
La gastronomia del VENETO prevede piatti a base di zucca e di patate americane, quelle dolci, il brazelom ovvero una focaccia, le fave, le miole de zucca (i semi di zucca), castagne e marroni – quest’ultimi si consumavano per tutto il giorno del 2 novembre.
Uno dei tipici dolci tradizionali del Veneto per queste feste era il pan trandoto, i trandoti ovvero "pane dei morti"
I pan dei morti, sono una vera bontà realizzati con biscotti secchi sbriciolati e frutta secca, ingredienti che sottolineano la necessità di avere un alimento nutriente, ma realizzato con ciò che si trova in casa, come spesso accade nei piatti della tradizione povera, con il risultato di piatti sempre molto saporiti…
La ricetta, nel tempo, si è arricchita di nuovi ingredienti come ad esempio il cacao, le mandorle e lo zucchero a velo. La forma è rimasta invece sempre quella, forma ovale leggermente schiacciata. E devono risultare un po’ duri, proprio a ricordare… un “osso”!
C’è poi chi utilizza i fichi secchi e chi i canditi, chi mandorle e chi nocciole e pinoli e chi li appoggi su un’ostia; chi usa solo biscotti secchi e chi ci aggiunge amaretti o savoiardi; chi usa il vin santo ma anche chi predilige il vino rosso, o uno spumante anche secco.
Tipici di questa regione sono i ZALETI
conosciuti anche come Gialletti, Zaletti o zalletti o ancora zaéti, nome derivato, ovviamente, dal loro colore, dato dalla farina di mais.
Sono dei biscotti particolari e ricchi, non tanto negli ingredienti, ma sicuramente nel gusto, che le padrone di casa ricavavano da antiche ricette segrete e che venivano gelosamente conservati nelle classiche scatole di latta o di legno accanto alle bottiglie di cristallo per il rosolio, il nocino o il cedrino.
Sono realizzati appunto con farina di mais, che ha sfamato per secoli milioni di persone, farina di grano, ingentiliti da piccoli chicchi d’uvetta sultanina e profumati con un tocco di scorza del limone.
Dal gusto rustico, dalla consistenza piuttosto dura, ottimi da mangiare sorseggiando un buon bicchiere di vino, o con un buon té.
"Signore mamme, trastullate i vostri bambini con questi gialletti; ma avvertite di non assaggiarli se non volete sentirli piangere pel caso molto probabile che a loro ne tocchi la minor parte." questo diceva Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891)
Gli SCARDELLINI, sono dei biscotti siciliani molto croccanti che vengono preparati tutti gli anni nel periodo di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti.
Questi straordinari dolcetti tradizionali sono caratterizzati da una base caramellata sovrapposta ad un guscio bianco cavo (che ricorda appunto le ossa), ottenute con un unico impasto.
Hanno un sapore particolare che viene dato dal mix di cannella e chiodi di garofano, una consistenza croccante ma al tempo stesso friabile.
La preparazione è molto semplice e prevede due step a distanza di qualche giorno perché le ossa dei morti prima della cottura devono asciugarsi all’aria per un paio di giorni e successivamente andranno cotti in forno.
L’asciugatura farà sì che durante la cottura , magicamente, le ossa dei morti assumano il tradizionale aspetto: base caramellata e superficie bianca cava.
Questo tipo di preparazione si chiama anche pasta garofanata!
La creazione di questi biscotti sembra magica, in realtà in cottura lo zucchero si scioglie e si caramella separandosi dalla farina che formerà la parte bianca
fatemi sapere nei vostri commenti se questa raccolta di antiche tradizioni italiane ha "stuzzicato" la vostra curiosità.....alcuni di questi dolci saranno sulle vostre tavole?
https://www.dolcidee.it/ricette/dolcine/pan-de-santi#answer-15206767
E' un dolce che fa prevalentemente parte della cucina senese e di alcune zone della Maremma.
Ricco di noci, uvetta, pinoli e fichi secchi, si prepara per il Primo di Novembre. Essendo un semplice pane "arricchito", una volta si preparava il sabato, giorno in cui per tradizione si produceva il pane, e rigorosamente nel periodo vicino alla festa di Ognissanti.
Una curiosità, a parte per il periodo per il quale viene preparato, il suo nome deriva proprio dai suoi ingredienti principali (l'abbondante frutta secca) che vengono chiamati, appunto "i santi".
grazie infinite ricambio!
:-)
Vi lascio il link della ricetta https://www.dolcidee.it/ricette/dolcine/fave-dei-morti-5
;-)
lo scorso anno in questo periodo ero ambasciatrice e realizzai questa raccolta di tradizioni popolari che "abbracciavano" ogni angolo d'Italia......
per chi non avesse avuto modo di leggerla in passato, mi farebbe piacere condividerla ancora .........🤗